Le Carboniere

Le “carboniere” sono forni di carbonizzazione, di tipo Magnien, dal nome del loro inventore nel 1922. Permettono di ottenere carbone di legna bruciando questo materiale fino alla completa eliminazione delle impurità.
Conosciamo l’uso del carbone di legna per le grigliate estive, ma questi forni si sono sviluppati soprattutto tra le due guerre mondiali.
A causa della requisizione delle merci da parte dell’occupante durante la Seconda guerra mondiale, la popolazione si rivolse a prodotti sostitutivi: il tessuto al posto della pelle, il legno per la suola delle scarpe, la saccarina per lo zucchero, l’orzo per il caffè, il topinambur per le patate ecc.

Così, durante il conflitto, nel 1941, l’attività delle carboniere era destinata principalmente al funzionamento di veicoli modificati per l’uso del gasogeno. La combustione del carbone di legna produce infatti un gas povero, ma sufficiente ad azionare un motore.
Questo uso continuò fino al 1949, con la fine dei buoni di razionamento.
All’inizio furono gli italiani, poi le truppe indocinesi smobilitate dal governo di Vichy e impossibilitate a rientrare nei loro paesi, a essere requisiti per questo lavoro.

L’installazione dei forni richiedeva innanzitutto di scavare la montagna per ottenere una piattaforma perfettamente orizzontale su cui erigere il forno.
Camminando lungo i sentieri, se passate vicino a una superficie piana di circa 8 m di diametro, potreste trovare resti di carbone grattando il suolo.
La prima parte del forno essendo già pronta, al centro venivano disposti 4 ceppi in posizione verticale che fungevano da camino.
Intorno, direttamente sul terreno e su tutta la superficie, venivano disposti rami piccoli fino a 50 cm di altezza.
Sopra si mettevano rami più grandi, posizionati verticalmente.
La legna veniva tagliata con l’ascia o la sega.
Quando il primo cerchio era pieno si disponeva il secondo, poi il terzo e infine il coperchio.
Ci volevano tre giorni per riempire un forno.
Le prese d’aria venivano chiuse con la terra.
Dei rami ardenti venivano introdotti nel camino e spinti fino in fondo per accendere rami più piccoli.
Una volta in fiamme, si chiudevano tutti i punti di luce tranne uno alla base.

Iniziava allora una lunga sorveglianza di 3 o 4 giorni, che richiedeva attenzione costante.
All’inizio usciva vapore acqueo, seguito da fumo bianco, che diminuiva progressivamente.
Bisognava allora chiudere rapidamente quella “luce” e aprirne un’altra, ripetendo l’operazione fino all’ultima.
L’assenza di fumo segnalava la fine della carbonizzazione. Bisognava fare attenzione a non mancare questo momento, altrimenti il legno prendeva fuoco e il carbone diventava inutilizzabile.
A quel punto si chiudevano tutte le aperture e si lasciava raffreddare.
Infine si poteva estrarre il carbone, separando i rami poco bruciati chiamati “non cotti”.

Furono poi raggiunti da uomini chiamati ai cantieri giovanili.
Così, nel Diois, nel Vercors, nel Royans, come in tutte le foreste di Francia, sorsero baracche dove vivevano famiglie quasi ai margini della società. Spesso le ritroveremo nei movimenti della resistenza.
Bisognava portare nella foresta, a dorso d’uomo o di mulo, gli utensili necessari al montaggio dei forni. Questi erano composti da tre parti in lamiera e un coperchio.
Il loro peso totale era di circa 150 kg, con un diametro alla base di 3 m e un’altezza di 2,50 m.

(Disegni di René Costerousse – Saillans.)